L’ipertensione è una delle patologie croniche più diffuse e il primo monito a tutti coloro ai quali viene diagnosticata questa condizione è quello di ridurre drasticamente l’introito di sale. Tuttavia, come dimostrano recenti studi osservazionali, purtroppo tutto questo non viene esattamente preso alla lettera, anzi…come si evince da uno studio presentato recentemente alla conferenza internazionale dell’American College of Cardiology, dal 1999 al 2012 l’introduzione di sodio è aumentata del 145% nei soggetti ipertesi.
In particolare è emerso come i pazienti affetti da ipertensione mediamente consumino al giorno 3,4 g di sodio al giorno, più del doppio delle quantità giornaliere raccomandate ai soggetti ipertesi, ovvero 1.5 g al dì. Forse ancora il messaggio non è abbastanza chiaro oppure non c’è abbastanza informazione al riguardo, ma è scientificamente provato che l’introito eccessivo di sodio è strettamente associato ad un significativo aumento del rischio d’insorgenza e ad un peggioramento di ipertensione.
Esistono differenti teorie alla base di tale correlazione. Una di queste è bastata sul fatto che il sodio in eccesso, richiama acqua nei vasi sanguigni aumentando il volume ematico con un incremento conseguente della pressione sanguigna, affaticando in tal modo l’intero sistema cardiovascolare. Diversi studi, invece, hanno evidenziato l’associazione tra il consumo di sodio e la secrezione di un ormone chiamato ouabaina, in grado di esercitare un vero e proprio effetto vasotonico che, cronicizzando, può aumentare il rischio di ipertensione. In altri lavori ancora è invece emerso il ruolo svolto in tutto ciò da parte dell’angiotensina II, un altro ormone vasocostrittore che fisiologicamente riduce la sua attività in presenza di sodio, ma che in soggetti con specifiche mutazioni genetiche non è in grado di rispondere correttamente.
Nonostante ci siano dunque varie ipotesi, l’associazione tra introito di sodio e ipertensione è abbastanza forte.
Nello studio in precedenza è emersa un altro aspetto non indifferente, ovvero che ci si rende conto dell’importanza della riduzione del sodio alimentare, non dopo una “semplice” diagnosi di ipertensione, ma purtroppo soprattutto in seguito ad un evento cardiovascolare, come ischemia o infarto, in presenza di diabete o di altre patologie croniche.
Anche in questi casi non si pensa abbastanza alla parola prevenzione e,invece, spesso basterebbe cambiare le proprie abitudini alimentari per evitare dannose complicanze.
Quindi, detto ciò, la cosa più importante sarebbe limitare unicamente il famoso sale da cucina?! Semplice!…no, purtroppo non basta.
La verità è che bisognerebbe rivedere la maggior parte delle proprie abitudini alimentari, in quanto, in una società come la nostra, caratterizzata dal consumo regolare e in grandi quantità di alimenti processati, insaccati e formaggi, l’introito di sodio “nascosto” molte volte è superiore rispetto a quello contenuto nel seppur colpevole sale da cucina.
Il mio consiglio è quello di limitare drasticamente il consumo di alimenti processati, come merendine, prodotti confezionati, salse, patatine chips, bevande zuccherate, ecc., e il consumo di insaccati e di formaggi, che rappresentano tra le più sottovalutate fonti di sodio “nascosto” e che molti ancora fanno veramente fatica a mettere da parte giornalmente. Dall’altra parte è consigliabile sostituire il sale da cucina con spezie ed erbe aromatiche, ricche di minerali, vitamine e soprattutto di antiossidanti, dai potenziali effetti benefici sulla salute.
Fonti:
http://www.acc.org/about-acc/press-releases/2017/03/08/13/36/sodium-intake-high-rising-among-people-with-high-blood-pressure