Sono tante le evidenze scientifiche che mostrano gli effetti deleteri sulla salute associati al consumo regolare ed eccessivo di alimenti processati, simbolo della società occidentale come la nostra. Merendine, bevande zuccherate, dolci, creme spalmabili, patatine snack, cibi in scatola, fast food, pizzette, ecc., sono tutti alimenti caratterizzati da elevate quantità di zuccheri, sale, grassi parzialmente idrogenati, additivi e conservanti e il loro consumo eccessivo ha contribuito in maniera significativa all’aumento esponenziale di obesità, diabete, cardiopatie, patologie tumorali e anche di patologie autoimmuni.
Queste ultime patologie sono caratterizzate da una reazione avversa del sistema immunitario nei confronti di cellule dell’organismo stesso, causando la distruzione del tessuto corporeo e interrompendone o alterandone la corretta funzionalità. Tipologie di patologie autoimmuni sono, ad esempio, la psoriasi, la celiachia, l’artrite reumatoide, il morbo di Crohn, la sclerosi multipla, il Diabete di tipo 1.
Uno studio pubblicato nel 2015 sulla rivista Autoimmune Reviews ha evidenziato come il consumo di alimenti processati sia associato all’aumentata incidenza di patologie autoimmuni nella società occidentale. In particolare è stato sottolineato come la presenza di alcuni additivi contenuti in grandi quantità in questi alimenti possa essere correlata ad un aumento della permeabilità intestinale con un conseguente aumento di eventi autoimmuni dannosi nell’organismo. Tra questi additivi sono stati riportati acidi organici, glucosio, solventi grassi e sodio..si proprio cosi anche il fatidico sodio, minerale importantissimo per il bilancio idroelettrico nell’organismo, ma che viene introdotto eccessivamente tramite quantità esorbitanti di sale da cucina o di alimenti processati.
Pensate che il contenuto di sodio negli alimenti processati può essere presente in quantità 100 volte maggiori rispetto a pasti simili fatti in casa!
Un’introduzione eccessiva di sodio non solo può rivelarsi potenzialmente dannosa alterando la permeabilità intestinale, ma può influire negativamente sugli eventi autoimmuni anche in maniera differente. È stato visto come le patologie autoimmuni sono caratterizzate da un’iperattivazione di cellule T-helper 17, importanti componenti dell’immunità acquisita che proteggono l’organismo da potenziali patogeni come virus o batteri. Questa iperattivazione da parte di queste cellule potrebbe essere veicolata dalla presenza di elevate quantità di sodio a livello ematico.
Sembrerebbe che, in presenza di quantità elevate di sodio, un’iperattivazione di cellule t-helper 17 possa veicolare una risposta autoimmune nell’organismo.
In particolare, come evidenzia un lavoro del 2013 pubblicato sulla rivista The New England Journal of Medicine, un’alimentazione ad elevato contenuto di sale, caratterizzata quindi dall’introduzione di quantità eccessive di sodio, potrebbe indurre l’iperattivazione delle cellule T-helper in due differenti modi: sia attraverso la sintesi e conseguente esposizione del recettore dell’IL 23, fondamentale per la differenziazione e per l’attivazione delle cellule T-helper, e sia mediante la produzione di citochine proinfiammatorie come IL-17A, IL-17-F e TNF, tutti fattori in grado di veicolare eventi immunitari nell’organismo aumentando il rischio di autoimmunità.
Purtroppo il valutare i reali effetti di un’alimentazione ad elevato contenuto di sodio su potenziali eventi autoimmuni a lungo termine non è affatto facile ed non sono tantissimi gli studi al riguardo. Ad esempio in uno pubblicato su Plos One nel 2013 e condotto per 2 settimane su 20 soggetti sani è stato visto come un’alimentazione ad elevato contenuto di sale possa influire negativamente sull’immunità, inducendo l’espressione di monociti e aumentare i livelli d’infiammazione nell’organismo. I monociti sono cellule del sistema immunitario che spesso si riscontrano in numero elevato durante infiammazioni croniche e in patologie autoimmuni.
L’unico studio a lungo termine al riguardo, invece, è stato condotto per 205 giorni su 6 soggetti, in particolare astronauti, durante una simulazione di volo spaziale chiamata Mars520, nella quale gli astronauti stessi venivano messi alla prova per 520 giorni per una potenziale visita su Marte. I risultati sono stati pubblicati nel 2015 sulla rivista Translational Medicine e hanno evidenziato l’associazione tra un’alimentazione ad elevato contenuto di sale (circa 12 g al giorno) ed un numero nettamente superiore di monociti circolanti; nel contempo, un eccessivo introito di sodio è stato correlato ad una maggiore produzione di citochine proinfiammatorie come IL-6 e IL23 e ad una minore di IL-10, lasciando ipotizzare come l tutto possa veicolare una risposta immunitaria aggressiva nell’organismo e aumentare il rischio dell’insorgenza di autoimmunità.
Tutto ciò potrebbe avere effetti particolarmente negativi soprattutto nell’ambito di una patologia autoimmune preesistente.
In uno studio del 2015 è stato visto come un’eccessiva introduzione alimentare di sale sia associato ad un peggioramento netto in pazienti affetti da Sclerosi Multipla: in particolare è stato visto come coloro che mangiano più salato una probabilità 3-4 volte maggiore di riacutizzazione dei sintomi e, inoltre, una probabilità 3 volte maggiore di avere nuove lesioni a livello cerebrale.
Alla luce di tali evidenze scientifiche e visto il consumo eccessivo di sale nella tipica alimentazione occidentale in concomitanza all’aumento dei tassi d’insorgenza di patologie autoimmuni, è necessario limitare il consumo di alimenti processati, l'utilizzo del sale da cucina e ridurre l'introduzione di alimenti con sale "mascherato" come salumi e formaggi.
Fonti:
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24338487
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25168393
http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0060332
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25497276
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18400187?dopt=Abstract